E' il più interno, il più esteso e il più popolato tra i quindici comuni della Val di Vara. Quando si dice Varese Ligure si intende la "capitale" dell'alta Valle; una "stazione" lungo antichi itinerari interregionali che non hanno perduto la loro importanza; il paese guida di un grande consorzio di comunità montane; un centro storico dalle prestigiose memorie architettoniche ed artistiche; una piccola città che non dimentica le sue tradizioni mercantili e artigiane. Quasi 14 mila ettari di superficie, una corona di paesi e frazioni - dal fondo valle verso le altre terre del Vara e i confini col Genovesato o la Valle del Taro - compongono l'inconfondibile quadro ambientale di Varese. Rinaldo Gramondo, varesino di adozione, lo descrive in versi: "in una culla di verde imbottita, con i pendii tempestati di case, una contrada coi suoi tetti scuri di grave ardesia". E sotto la superficie del paesaggio spettacolo ci sono però strati più profondi, che si vedono e non si vedono. Gli odori che si sprigionano dalla terra, dalle stalle e dalle botteghe; i pensieri di chi cammina per le antiche strade e di chi ha finito per andarsene, portandosi dietro una indistruttibile scorta di nostalgia. Le leggende riprese dall'ingenuo racconto scritto dall'Abate Cesena, come in una bella fiaba. Il cosiddetto "Menaleoche" che fu un vassallo di Codivara ed iniziò le piantagioni di castagni nella zona di Valletti; la storia del mercante veneziano aggredito dai banditi alla "Costa" di San Damiano; il pozzo del "Carnaggio"; i briganti nascosti nei crudeli boschi del Cento Croci; il miracoloso andirivieni della effigie di N.S. di Mantova; le rivalità tra Varese e San Pietro; il crollo del ponte sul Crovana e l'annegamento del povero Calcagnino. I piccoli cimiteri tagliati sulla mezza costa dei monti, con lapidi bianche e grigie che riportano gli stessi nomi; i vecchietti fuori delle loro abitazioni ad aspettare la sera; le ruote di carro dipinte di rosso, come insegna di osteria; i giorni di mercato, a Varese, e i tanti avventori nelle locande dove servono funghi e piatti fumanti di carne; il vino buono e nostrale; i concerti della "Banda Varesina", fondata dal conte Giovanni Arrivabene, esule politico dalla Lombardia; i racconti delle alluvioni, dei lupi, delle carestie e degli anni fecondi; l'amore per le vecchie pietre nei chiaroscuri del borgo rotondo. Negli strati più profondi, che si vedono e non si vedono, ci sono le iniziative culturali, le manifestazioni della Pro Loco, le attività ricreative e folcloristiche, le mostre d'arte, l'accademia canora per i giovanissimi, il rinnovarsi delle sagre religiose alla Madonna della Visitazione e delle feste rurali come quella di Sant'Antonio. La vita paesana, senza i mali dell'inquietudine o della noia, si muove secondo un ritmo ordinato ed una convinta partecipazione collettiva. Ecco i paesi, da sud a nord: Montale, le poche case e la chiesina romanica di Cavalanova, Costola e Buto (il passo di Pian di Lago verso la boscosa vetta del Gottero), Salino che si affaccia nella valletta del Torza, la piana fertile di San Pietro Vara irrigata dal fiume, e più su, lungo lo Sfora, Teviggio, Porciorasco e Caranza; e verso il Cento Croci, l'abitato di Taglieto; sulla strada che sale al Passo del Bracco: Casette, Cavizzano, Scurtabò e Cassego; poi Trenzanasca e Cesena, e verso le sorgenti del fiume: Valletti e Colli, Comuneglia e Codivara, tra le vette del Chiappozzo e dello Zatta. Al centro del comprensorio montano, Varese si è dilatato, sulla riva sinistra del torrente Crovana, attorno al primitivo nucleo del borgo e del castello, e sembra come custodito dalle borgate che si intravedono tra le faggete e i castagneti della montagna. In queste terre sono nate e cresciute le laboriose generazioni di varesini, abili costruttori di remi per la marineria, tessitori dei famosi "mezzalana" e noti per il tradizionale artigianato delle calzature e la lavorazione del legname da opera. La gente che trafficava nelle numerose fiere annuali; le donne che raccoglievano i capelli in una rete di seta, secondo il vecchio costume, e indossavano uno stretto bustino di stoffe vivaci.
STORIA
La storia, le vicende, la lingua, le abitudini della gente sono essenzialmente genovesi. Per non risalire alla Romanità, si può cominciare dalla "Plebs Variae" e da "Cesigne", citate nello storico registro della Diocesi di Genova del 1031, con una vastissima giurisdizione a tutta l'alta Valle ed oltre, dove. grosso modo, si doveva estendere un conciliabolo dei Liguri "veleiates". Le borgate più alte e in posizione migliore, ricavate nel groviglio delle foreste, furono le prime, in ordine di tempo, ad essere costruite e, contemporaneamente, è presumibile che una prima comunità si fosse solidamente stanziata nel luogo "comodo ed aperto" di Campelli, cioè attorno chiesa matrice della Pieve. La cronaca varesina dell'abate Antonio Cesena, scritta a metà del 1500, riporta notizie abbastanza confuse, in un linguaggio di ingenua semplicità, e frammenti di incontrollabili leggende, ma rivela una trama di nomi, fatti ed episodi in una sequenza che permette la onesta ricostruzione della realtà storica. Di questo stesso avviso è il prof. Teofilo Ossian De Negri quando scrive: "Della leggenda a noi interessa cogliere l'inequivocabile significato storico: l'inizio contemporaneo di un centro di vita religiosa ai Campelli, di un centro di commercio nell'isola tra Vara, Crovana e il Fossato, e la presenza di un insediamento spontaneo, ma destinato ad un sicuro avvenire, in questo luogo particolarmente felice, prima che il Fiesco venga a fondare il borgo con un atto di imperio. Se in quel primo abitato il conte non innalza subito una torre (nelle cronache non ce n'è memoria), è perché i signori hanno già eretto due campanili della Pieve, uno dei quali è una vera torre militare, e posseggono il Castellazzo, già dei Pinelli, che incombe immediatamente; e ben tosto a Monte Tanano, sulla Costa deserta o di San Damiano, percorsa da un tratto della strada di Cento Croci che per San Pietro va a Sestri, fondano prima una torre e poi un forte castello, destinato a far parlare a lungo di sé". Ed ecco i Fieschi, nell'orizzonte di Varese Ligure, per secoli. I nobili di Lavagna, assieme ai Pinelli, ottennero l'investitura di gran parte dell'alta Val di Vara, in vista di una interessata forma di colonizzazione, e cominciarono a far dissodare terreni, aprire sentieri, accogliere indigeni ed importati nelle diverse sedi rurali, iniziando praticamente la valorizzazione del territorio che divenne fecondo di prodotti (specialmente a Cassego) e capace di richiamare la gente operosa di altri paesi, anche dalla riviera. Le terre bonificate saranno però oggetto di contese e di rivalità per lunghi secoli e gli stessi Fieschi fecero guerra ai "congiunti" Pinelli e poi si accordarono una prima volta circa i rispettivi domini - i Fieschi attestati nelle fortificazioni di Cassego ed i Pinelli stabiliti nella Torre della località Castello - mentre certi pascoli intermedi, zona smilitarizzata, si direbbe oggi - restavano di uso comune e perciò si chiamarono "Comunaglia" e al presente si chiama Comuneglia una delle frazioni varesine, verso Codivara. Le guerre, intendiamoci, erano in pratica battaglie tra pastori, combattute a suon di randellate e di archibugiate e condite da qualche innocua salve di artiglieria. Il Cesena, ad esempio, ricordava colpi di cannoni dal Monte Tanano, "con poco danno alle persone, benché pure arrivassero nella terra, ma essendo fermi in ceppi grossi, tiravano sempre in un logo e perciò erano facili a schifare". Erano occasioni per intrighi con altri feudatari, come i Malaspina dalle montagne di Caranza, e i Landi che avevano i loro domini nella Val di Taro; e per costruire qua e là castelli e torrioni potenti: una pietra sull'altra a sfidare i nemici e il tempo. Cosi la Torricella, i castelli di Monte Tanano e di Cavizzano, la Torre di Cornaredo, il Castellazzo di Monte Vecchio e altri, che videro per secoli l'andirivieni di gente armata e anche qualche breve periodo di serena concordia. Varese Ligure nacque, nel senso di vero e proprio paese, all'ombra del castello di Monte Tanano, secondo una prima lottizzazione indicata dagli stessi Fieschi, i quali rimasero incontrastati signori sino alla pace del 1276 tra le fazioni guelfe e la Repubblica di Genova. Tra le terre e i castelli della Valle, ceduti da Nicolo Fieschi a quella data, il patrimonio più ambito era proprio quello di Varese, tanto che la vecchia famiglia dei conti di Lavagna riuscì, a forza di diplomatiche astuzie e di ducati, a ritornarne in possesso, a periodi alterni. Nel 1376 la fortezza e il borgo di Varese furono venduti a Genova - e per essa ad Antonio Adorno - per la somma di 31 mila fiorini d'oro, e il contratto comprendeva anche la fortezza di Monte Tanano, il castello di Panesale, il castello di Torricella, la metà del forte di Caranza, i diritti nel borgo e nel castello di San Pietro e in quelli di Castelnuovo, a levante di Salino. Poco dopo, nel 1388, i Fieschi tornarono in Varese, per rimanervi, salvo le temporanee occupazioni del Piccinino e dei Landi, fino al 1547. Il tempo feudale fu, così, più duraturo che altrove e si concluse soltanto al momento della fallita congiura di Gian Luigi Fieschi (con la mobilitazione dei fedelissimi paesani varesini) e delle conseguenti implacabili vendette di Andrea Doria, avallate dall'imperatore Carlo V. In questa storia militaresca c'è il posto per vicende particolari, anche civili. La costruzione del vecchio borgo, dell'ospedale di San Lazzaro, del ponte sul Grescino; le mura, le chiese, la antica ferriera, il fiorire - nonostante tutto - delle attività mercantili. E, in mezzo, le battaglie contro i Visconti, la conquista di Varese da parte di Nicolo Piccinino (nel 1434) che distrusse il Castellazzo, abbattendone le torri, per farne edificare un'altra, a ferro di cavallo, sulle fondamenta antiche. E le rappresaglie di Genova, l'incendio della Pieve, le storie di illegittime successioni, il periodo dei Landi (per via del matrimonio combinato tra il vedovo Manfredo Landi e la vedova di Jacopone Fieschi) e la restaurazione della famiglia dei conti con l'assalto al castello usurpato (e le imprese dell'erculeo Calcagnino), la distruzione, nel 1492, del forte di Monte Tanano voluta dallo stesso Fieschi, per togliersi spese e minacce. Dopo la congiura del 1547, la comunità varesina si sottopose al governo di Genova; nel 1548 la Repubblica stabilì particolari accordi e nacquero gli "Statuti di Varese", approvati poi formalmente dal Senato genovese e pubblicati a stampa in pochi esemplari, soltanto due secoli dopo. Il tramonto definitivo del potere feudale aveva lasciato una buona eredità di beni e di istituzioni. Un organismo urbano come il "borgo rotondo", realizzato su modelli comuni nella Valle e con un preciso piano regolatore (forma e disposizione dei fabbricati, materiale da impiegare ecc.) e con forme d'interventi, affitti, operazioni di credito, quali si ritrovano nella moderna industria edilizia, aveva procurato guadagni e redditi al signore e provocato, nello stesso tempo, una certa mobilitazione di paesani e mercanti dall'oltre valico piacentino e parmense e dai centri della riviera. Varese divenne una importante cittadina, sede di commerci e di scambi. Il mercato del vecchio borgo - la palazzata elittica di costruzioni attorno alla piazza centrale, difesa dalle mura e dal fossato - era attraversato dalla strada principale, tra il mulino, la porta soprana e la casa del Fieschi e costituiva il vitale ed organizzato nucleo del paese. Il castello, cessate le funzioni militari, fu usato come carcere, dal 1600 in poi, e salvato dalla inesorabile decadenza coi moderni restauri, oggi è restituito alla sua monumentale imponenza. Terminato il periodo feudale, la capitale dell'alta Valle, incorporata nel territorio e negli ordinamenti della Repubblica di Genova, si estese ben oltre il perimetro del borgo originario, lungo le strade nuove che conducevano alla chiesa di N.S. di Mantova. Era sede del podestà, cui si attribuivano poteri civili e penali, e il magistrato era assistito da un consiglio di "magnifici" ed ogni frazione aveva il suo console da consultare nelle deliberazioni di interesse pubblico. Le vicende di Varese, a parte l'andirivieni di diversi eserciti e la diretta partecipazione alla storia regionale, si esprimono anche in atti di pietà religiosa e in conquiste di essenziale importanza civica. La fondazione del convento di Santa Croce (1563), l'apertura del Collegio di San Filippo Neri (1465) per iniziativa della suora Maria Teresa Caranza, di nobile famiglia locale; la costruzione, a partire dal 1648, della parrocchiale di S. Giovanni Battista, sull'area della chiesa precedente; lo sviluppo del Monastero delle Agostiniane; il consolidarsi dei beni economici e la presenza della "aristocrazia" locale (Ferrari, Cesena, Nasalli, Caranza, Bastieri, Cristiani e tanti altri); il passaggio della principessa Elisabetta Farnese che, nel 1714, andava sposa a Filippo V, re di Spagna; la cruenta parentesi della guerra di successione; le nozze della marchesa Luigia De Ferrari, principessa Pallavicini, ispiratrice di Ugo Foscolo; gli eventi della Rivoluzione Francese; la Repubblica Ligure, e tutto il resto, più vicino ai giorni nostri. Ecco: nello stemma araldico di Varese il motto "per aspera ad astra" è giustificato dalla storia, dai sacrifici e dalla speranza. Anche negli ultimi tempi della seconda guerra mondiale che, in questi luoghi videro eroici episodi della Resistenza.
DA VEDERE
Il paesaggio urbano del capoluogo offre sempre la scoperta di piccoli tesori di arte e di architettura, visti nel tessuto delle antiche strade, nei portali di pietra, nei fastosi interni dei palazzotti signorili, nelle tradizionali coperture e decorazioni fatte di ardesia locale. Oltre i monumenti più noti - il borgo, il castello e il ponte sul Crovana - meritano una visita la bella chiesa di San Giovanni (con opere di Guascone "senior", la pala marmorea romanico gotica della SS. Trinità, la Madonna del Maragliano ed una trecentesca statua della Vergine di scuola pisana); la chiesa del Monastero di San Filippo (dove i calzolai varesini cantavano la novena al loro patrono San Crispino) e il convento dove le monache di clausura ancora confezionano con pazienza certosina le "sciuette" di pasta di mandorle; e l'oratorio dei Santi Antonio e Rocco, piccolo museo di preziosi arredi sacri. Nella costellazione dei paesi frazioni, per le strade della pianura e dei monti, sono altre numerose memorie storiche ed artistiche, da guardare specialmente nella composizione architettonica dei centri più antichi e tra gli edifici religiosi - chiese, campanili e oratori - innalzati a suo tempo come simbolo di civiltà e di fede. San Pietro Vara, la frazione più importante e popolosa, è a cinque chilometri dal capoluogo, immersa nella fitta vegetazione della pianura, lungo le acque del fiume. Anche San Pietro, importante nodo stradale, rivela le tradizioni rustiche della sua gente, con antichi e solidi casali di pietra, piantati in mezzo alle coltivazioni. Il ponte romano, la cinquecentesca chiesa intitolata al Santo da cui il paese prende il nome, le memorie della sua antichissima origine, ne fanno una meta importante lungo gli itinerari della Valle. Più a sud sono le poche costruzioni e la chiesa di Cavalanova, parrocchia di Costola, e Montale, a 340 metri di altitudine, confinante con Groppo e il territorio di Sesta Godano, con la rettoria di San Martino che guarda, un poco isolata, i grandi fabbricati rustici, gli archi e le terrazze del borgo, e la strada che scende a valle, tagliata in mezzo al verde e ai vigneti. Verso San Pietro è il bivio stradale che porta a Costola e Buto, due piccoli centri sotto il Monte Belvedere (Buto è a 700 metri sul mare) con le rispettive chiese di San Vincenzo e di San Pietro, tra il segno di superstiti attività agricole. Sul versante opposto, oltre il Vara, è la frazione di Salino (praterie e campi di frumento) che si raggiunge dalla valle del Torza.
Più vicine al capoluogo, servite dalla strada del Cento Croci, sono: Teviggio, con la bella parrocchiale del XVII secolo, Porciorasco e Caranza, ad altitudini montane (Caranza mostra la parrocchiale di San Lorenzo e la sua alta e isolata torre campanaria), tra boschi e praterie, meta di escursioni e luoghi di villeggiatura quasi alpestre. Sotto il Cento Croci, le case e il campanile di Taglieto; sulla strada che sale al Passo del Bracco si affacciano: Cavizzano, un piccolo centro rurale risalente all'epoca dei Fieschi, con la chiesa fondata nel 1300; Trenzanasca e Scurtabò. Scurtabò - a 660 metri di quota - è una delle maggiori frazioni varesine, estesa tra i corsi d'acqua del Vara e del Taro, comprendente le appendici abitate di Pelosa e Sanega. Ha una bella parrocchiale, di epoca seicentesca, dedicata a San Lorenzo, ed altri oratori e piccoli santuari sparsi nei dintorni. Più vicino al confine con la provincia di Genova è Cassego, una delle prime e più fiorenti comunità dell'alta Valle (la chiesa di San Bartolomeo) ed oggi, per la sua felice e salubre esposizione e per i suoi richiami paesistici, sede di colonie estive e tappa d'obbligo per coloro che amano il silenzio dei boschi e i "buoni posti" da funghi. Seguendo il corso del Vara, fino alle sue alte sorgenti, si incontra Valletti, un poco abbandonato in mezzo agli umidi castagneti (fienili lungo le strade, cataste di legname da opera, poca gente nelle campagne) e il Santuario di S. Anna dove fu l'eroico parroco, medaglia d'oro partigiana, fucilato dai tedeschi nel 1945. Di fronte sono le sparse borgate di Comuneglia, in un vasto territorio montano, e Codivara, per salire al valico di Pian d'Oneto verso Arzeno e Chiavari, che conservano aspetti di vita forestale sotto il biancheggiare roccioso del Monte Chiappozzo e le foreste del Monte Bisce. E, per completare il circuito delle frazioni varesine, Cesena - il borgo di Cesigne dell'alto Medioevo - con l'antichissima chiesa di S. Giustina, già ricordata negli archivi alla data del 1148.
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