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La valletta dell'Usurana è un mondo riservato e severo, senza altre risorse che quelle della economia contadina e forestale, custode di tradizioni ereditate dai secoli più lontani. La strada è una galleria tra gli alberi: coperta da una volta fitta di foglie e di rami, si snoda in leggera salita fino ai 400 metri di Calice ed arriva in direzioni diverse a servire le numerose frazioni e borgate del comune. Il territorio, pur aderente al confine della Lunigiana toscana, è pieno di colori liguri dagli uliveti più bassi ai pini e ai foltissimi boschi di castagni. Le borgate sono ancora costruite come tanti anni fa, con le case strette in un unico concentrico, separate solamente dai tagli dei vicoli e dai buchi degli archivolti di pietra. In tutti i paesi attorno alla valletta dell'Usurana si rileva in dettaglio quella formazione urbana e sociale che è generica caratteristica del bacino del Vara: piccole comunità, economia agreste, rispetto della tradizione ma adeguamento tecnologico, almeno per quel poco che si può nella difficile geografia dei terreni, ed un notevole patrimonio forestale, in buono stato di manutenzione. Il paesaggio è fresco, verde e pulito, come alle origini. E' di una bellezza sommessa e casalinga e senza stonature. Offre il colore del tempo immutabile, specialmente nelle zone panoramiche del Monte Cornoviglio, del Monte e della pineta Alpicella e del Monte Belvedere. Anche le feste e le sagre locali sanno di campagna, come l'autunnale festa del castagno o la primaverile festa delle giunchiglie. La zona, per le sue doti climatiche, si presta ad ospitare villeggianti ed escursionisti. Le strade non sono ampie ma ben tenute e poiché non vi si devono affrontare i guai di un traffico troppo intenso, è possibile ascoltare il discorrere degli uccelli e vederli magari saltellare fiduciosi sui parapetti e nelle cunette, sul filo dell'umido sottobosco.

STORIA

Rispetto agli altri comuni della Valle la storia di questo territorio ha qualche influsso toscano. I più antichi cenni riferiti al castello di Calice (allora chiamato Calese) ricordano la sua appartenenza agli Estensi, assieme con altri possedimenti della Lunigiana. Ubaldo Formentini scriveva in proposito: "Sullo scorcio del secolo XII, i Malaspina dello "Spino Secco", dichiarandosi successori degli Estensi, rivendicarono la tenuta di Calice contro il vescovo e gli antichi sub feudatari del luogo, ramo della casata lombardo-emiliana dei signori di Moregnano, contemporaneamente insediati in diversi altri castelli della Lunigiana, nella valle del Taverone, a Giovagallo, a Bibola, a Cuscugnano (Aulla) e nella rocca di Carpena, nei pressi del Golfo della Spezia. La guerra che ne seguì fu decisa dalla battaglia di Castiglione e le trattative di pace, conclusesi con un lodo arbitrale nel 1203, portarono ad un condominio tra marchesi e vescovo, del quale numerosi consorzi gentilizi e comuni della Lunigiana giurarono l'osservanza". Il vescovo Guglielmo di Luni, dopo la lunga prigionia impostagli dall'imperatore Federico II, tornò dall'esilio di Puglia nelle sue terre, ma non riuscì a riottenere una effettiva signoria "ed essendo aggravato da molti debiti", fu costretto a chiedere al Papa Innocenze IV (della famiglia Fieschi) il permesso di alienare parte dei suoi beni. Nel 1252 Guglielmo stipulò così un atto di vendita a Nicolo Fieschi di diverse terre e castelli, tra cui Castiglione Vara, Bracelli, Tivegna, Ameglia, Calice al Cornoviglio, Veppo, Corvara e Beverino. Il dominio locale dei Fieschi durò fino all'epoca della famosa congiura di Gian Luigi e quindi i feudi, per le confische e le vendette stabilite da Andrea Doria, passarono alla sua famiglia (Calice al Cornoviglio, in particolare, finì in dote a Piacidia Doria del Carretto), fino agli inizi del XVIII secolo, quando furono confiscati ed assegnati dal Fisco Imperiale alla famiglia Malaspina di Mulazzo. La ingarbugliata storia di contese e successioni si concluse poi con un'altra vendita, questa volta dai Malaspina a Leopoldo I, granduca di Toscana, dei due distretti dì Calice e di Veppo, nel 1770. Il confine della Lunigiana toscana fu così nettamente spostato verso la Valle del Vara e la comunità di Calice al Cornoviglio (che a metà dell'ottocento contava 2.700 abitanti) era governata da un podestà toscano, residente nel grande castello. Dipendeva da Pontremoli per gli uffici pubblici e il vicariato, e comprendeva i territori di diverse ville e borgate.

DA VEDERE

Calice La memoria monumentale superstite più importante di Calice è costituita dal ben conservato castello del capoluogo, alto sul panorama del paese esemplare di una architettura che compendiava solidamente la necessità della difesa armata e della residenza signorile. In posizione dominante sulla valle Usurana, la mole quadrata della rocca è resa ancora più severa dai tondi torrioni angolari, dal suo eccezionale volume e dalla uniforme muratura di pietra. Madrignano visibile dalle grandi strade di fondo valle, il castello, altissimo ed incombente, è ridotto allo stato di rudere, ma conserva la potente suggestione di una formidabile struttura, tanto più sorprendente se confrontata con le piccole dimensioni del sottostante paese, della piazzetta, del tozzo campanile e delle case aggrappate alla sua ombra. Il "nido d'aquile" mostra ancora la sua ultima fabbrica quadrata e le circolari torri merlate, rosicchiate dai secoli e dalle intemperie, tra aperture di diversa forma, feritoie, caditoio, macchie di edera, muraglie miracolosamente verticali.
Nella composizione dei paesi, per quel loro aspetto inconfondibilmente contadino, sono notevoli alcune residue architetture rustiche antiche a Gambella, Ferdana, Villagrossa, Novegina, con esempi di grandi casolari appoggiati agli archi scuri dei portici decorati dal verde dei pergolati e nobilitati dall'impiego della pura pietra, sapientemente squadrata e messa in opera.


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